Nei “padri fondatori” de La Valsusa, il giornale diocesano, c’è dell’eroismo.
Così lo ricorda Luigi Chiesa, che sarà poi il terzo direttore:
“Il vescovo Rosaz si convinse che il giornale necessitava di un direttore che sapesse dargli una intonazione brillante, vivace e garbatamente polemica e al tempo stesso curasse intensamente le notizie di cronaca locale”.
Ecco come, trent’anni dopo, Cesare Napoli ripensa a quei giorni:
“Io fui designato e improvvisato direttore, senza altra preparazione remota o prossima che l’entusiasmo, quale sapeva accendere nei miei compagni di lavoro e in me quell’anima di santo vescovo”.
Così, con entusiasmo, si stampava nella casa del vescovo, dove era entrata una macchina da stampa che pesava 20 quintali. E il vescovo sempre vicino, a trasmettere entusiasmo.
Il 12 novembre 1904 esce l’ultimo numero de Il Rocciamelone e finisce la direzione di Napoli. Sono anni duri, difficili. Il 1° aprile del 1905 esce “La valanga”, organo socialista della valle. Tanto per dire che tempi erano, ricordiamo la vignetta della sua testata: un banchiere, un prete e un generale che fuggono sotto l’incalzare di una valanga di neve.
Che fare? Come reagire a quella che allora veniva chiamata “l’ondata anticlericale”? Ci volle di nuovo l’audacia, forse la follia, di un vescovo. Questa volta è mons. Marozio che, il 27 aprile 1907, dieci anni dopo l’inizio del Rocciamelone, fa nascere La Valsusa.
Scrive in una delle sue note la memoria storica de La Valsusa, mons. Carlo Marra:
“Dall’assemblea dei parroci, che furono meravigliosamente generosi, e di personalità del mondo cattolico, il giornale uscì con un indirizzo rinnovato e sveltito. Anche il nuovo titolo, “La Valsusa”, dava la sensazione che il foglio si apriva a tutti i problemi della nostra terra. Nuovo direttore ne fu il cav, Alfredo Porri”.
Ma la vera anima del giornale era il can. Calabrese, che poi divenne vescovo di Aosta.
Con la direzione Porri inizia la sua lunga collaborazione Federico Marconcini che, deputato e senatore, forse fu la figura più prestigiosa tra i tanti collaboratori de La Valsusa. Era, per tutti, “il professore”.
Venne poi la bufera della Grande Guerra e il vescovo Castelli affidò la direzione al pubblicista Luigi Chiesa. Ecco il suo racconto di quei giorni:
“Poco prima di Natale, era il 1919, mi scrisse il vescovo di Susa, mons. Castelli, che conoscevo fin da quando era a Torino, curato nella mia parrocchia di San Massimo. Nella lettera, il vescovo mi invitava a dargli una mano nell’apostolato in Val di Susa, accettando per prima cosa la direzione del settimanale cattolico”.
Chiesa, che di mestiere faceva il giornalista nel quotidiano “Il Momento”, lascia Torino per venire a Susa.
“Partii dunque per Susa – racconta – e mi insediai alla direzione del giornale. Questa aveva sede in una cameretta offerta dal Circolo giovanile Mario Chiri, in piazza Savoia. Non c’era neppure la luce…”
Con il Chiesa, ecco le prime Figlie di San Paolo, mandate a Susa dall’Alberione a “farsi le ossa”.
La loro “Scuola Tipografica” in via Palazzo di Città resta nella memoria non solo del nostro giornale ma, ancor di più, nella vita delle Paoline. Un albero che oggi ha mille rami, il cui seme però ha cominciato a crescere qui, in Valle di Susa, nel nostro giornale.
Nel 1923, Luigi Chiesa lascia “La Valsusa”per assumere a Ivrea la direzione del “Risveglio Popolare” e il vescovo Rossi chiama alla direzione un sacerdote, don Avventino Anselmetti, che vi resterà fino al 1935.
Nel 1925, e poi fino al 1947, il giornale uscirà, pur conservandone la testata, fuso con “La Voce del Popolo” di Torino.
Le cronache della valle erano ospitate all’interno. La parte cosiddetta formativa era comune per i due giornali.
Altro cambio nel 1935. Ce lo racconta mons. Carlo Marra, nuovo direttore:
“Avendo il dott. Avventino Anselmetti ripetutamente espresso il desiderio di essere esonerato dalla direzione del periodico, che detiene da dodici anni, egli lascia il suo posto non trascurando la collaborazione al settimanale che ha tanto amato. Dalla prossima settimana i corrispondenti sono pertanto pregati di voler indirizzare ogni corrispondenza in Seminario, al can. Carlo Marra, nei medesimi limiti di tempo”.
Il 13 settembre di quell’anno, don Marra entrava nell’albo dei giornalisti, elenco pubblicisti. Vi resterà per più di 50 anni, fino alla morte.
Nel 1970, dopo 35 anni di servizio, scrive:
“Il giornale, da quella data, è uscito 1.627 volte, che fanno un volume di 6.450 pagine”.
Continuerà a dirigerlo fino al 1975 e per dodici anni, dal 1935 al 1947, ne fu anche contemporaneamente l’amministratore.
Mons. Marra ha un servizio al giornale che risale al 1910 (aveva 12 anni), quando andava in tipografia a incollare le etichette. Poi, nel 1913, le prime relazioni accanto al can. Calabrese.
Il numero del 3 gennaio 1975 titola: “La Valsusa cambia direttore”. A mons. Marra succede don Aldo Amprimo, un sacerdote di Bussoleno da sempre al giornale come brillante corsivista. I suoi “sale e pepe” e le sue “schegge” appartengono agli anni più battaglieri (e scritti bene) del giornale.
Con lui vanno ricordate altre due penne prestigiose, il can. Sardi e il can. Guido Ferrero, l’inventore della pagina sportiva con il suo “diorama sportivo”.
Il 13 gennaio 1979, pochi mesi dopo il suo ingresso in diocesi, mons. Bernardetto deve procedere a un ulteriore cambio. Don Amprimo presenta le dimissioni e nuovo direttore è don Ettore De Faveri.
Da allora ha aumentato i collaboratori, i servizi, le pagine; ha visto crescere tiratura, abbonati e vendite e affronta, con le sue 56 (a volte 64) pagine settimanali questo momento delicato per la società in genere e per l’editoria in particolare senza trascurare uno sguardo attento ai nuovi media, a internet e ai social network.