Cartoline dalla Valle di Susa Il comune di Giaglione si trova a 774 m. di quota, collocato sulla riva sinistra del fiume Dora Riparia, a circa 6 km da Susa, lungo la SS25 del Moncenisio. Il territorio è composto da ben 14 frazioni: Cornale, Creusa (Madonna), Pradonio, Rastella, San Giovanni, San Giuseppe, San Gregorio, San Lorenzo, San Rocco, Santa Chiara, Sant’Andrea, Sant’Anna, Sant’Antonio, Santo Stefano.
Conta 692 abitanti, su una superficie di 33,59 km².
Gli abitanti sono i “giaglionesi” ed il Santo patrono è San Vincenzo che si festeggia il 22 gennaio. Le prime testimonianze del luogo si devono alla via Gallo-Romana che percorreva il versante sinistro della Dora e saliva da Susa per le frazioni di Giaglione dirigendosi verso la Maddalena, per poi proseguire verso il Monginevro, mentre prima ancora il tracciato seguiva i sentieri Celtici da Exilles raggiungeva il vallone di Toullie e valicava le alpi al colle Savine-Coche. A lungo fu utilizzato anche il colle Clapier (valico reso famoso dal condottiero cartaginese, Annibale,) ma nel VIII secolo la via Carolingia della Maurienne prese la direzione della Novalesa dove da poco era sorta un’importante Abbazia. Di rilievo la storia della famiglia Auruzi (1223) che fece erigere la fortificazione di Menate, l’unica restaurata ed ancora visibile. Poi la famiglia degli Aschieri (De Jalliono), che ebbe diritti feudali anche in altri borghi della valle. Altre costruzioni feudali sono inglobate nell’abitato, la Casa dei Bermondi e la torre di Micheletto nella borgata di San Giuseppe (Poueizat) La casa del Lavorio conserva una bella finestra monofora. La casa della Roccia situata su due massi erratici sovrastanti una sorgente è situata nella frazione Sant’Antonio (Vilò) . La casa di Maria Bona pregevole per la loggia affacciata sul cortile in frazione San Giuseppe (Poueizat). All’epoca il delfinato includeva la Valle di Susa fino a Chiomonte, Giaglione era quindi sul confine e la necessità dello stato Sabaudo per la difesa delle strade portò alla costruzione delle barricate di Clarea con la torre di Pilat. La chiesa Parrocchiale domina la valle dal suo poggio, il sito orientato per natura e la presenza di una sorgente lo identifica prescelto nel periodo Celtico a luogo di culto. Ognuna delle dieci borgate di Giaglione possiede una cappella, sono tutte citate a partire dal 1600, ed erano il centro della borgata a volte a fianco del forno e sempre della fontana, La cappella di San Lorenzo (Moule) è di particolare interesse storico perché nello spiazzo antistante si riuniva sempre il consiglio generale della Comunità . La cappella di Santo Stefano (Staqueveun) ha il lato nord esterno totalmente affrescato. Gli affreschi, datati 1400, a monito dei viandanti sulla via Gallo Romana rappresentano la cavalcata dei vizi e delle virtà¹.
A Giaglione per San Vincenzo
San Vincenzo Martire, patrono del paese, si festeggia ogni 22 gennaio e i riti sono ripetuti in occasione della cosiddetta Ottava, la domenica successiva. La tradizione prescrive con perizia quali sono le regole da seguire per i rituali e quali le figure coinvolte. Nella mattina del 22 gennaio, sotto casa della priora si costituisce il corteo, composto dai quattro Spadonari, dalla Banda musicale, dal Bran (un’intelaiatura di legno alta due metri, totalmente coperta di fiori, frutti e nastri colorati portata in bilico sulla testa da una ragazza), dalle priore e dalle autorità . Le priore sono divise in tre coppie: due nubili di Santa Caterina, due giovani donne sposate del Sacro Cuore, due donne mature di cui la pi๠anziana è la priora di San Vincenzo, l’altra della Madonna del Rosario. Ognuna di loro si fa carico della festa che la tradizione le assegna, della S. Messa, dell’addobbo della chiesa e del rinfresco. Le donne indossano la “roba savoiarda”, l’abito tradizionale che è posseduto da ciascuna famiglia giaglionese ed è costituito da cuffia, vestito, grembiule e scialle. Il corteo raggiunge la chiesa parrocchiale per assistere, con gli altri fedeli, alla S. Messa. Dopo un primo momento di preghiera, si forma una processione alla quale prendono parte anche gli alpini e i coscritti che portano in spalla le urne con le reliquie. Una volta tornati in chiesa, gli Spadonari si collocano a guardia dell’altare. Ma non sarebbe davvero San Vincenzo senza l’esibizione degli uomini con la spada sul sagrato della chiesa: i quattro eseguono una serie di antichissime danze e figure accompagnati dalla Banda musicale. Non si conosce con certezza l’origine di tali coreografie, forse l’invito alla battaglia presso gli antichi Celti, forse i riti propiziatori di fertilità e primavera (richiamati dal copricapo fiorito e guarnito con nastri multicolori che ricadono sulla schiena). Vi sono marce e danze: le prime sono “nourmal” (normale), “basulén” (di Bussoleno), “stecà a” (stoccata), “venousenza” (di Venaus) e sono eseguite quando il corteo sfila per le vie del paese; le danze sono”lou salut” (il saluto), “la karà a” (la quadrata), “lou kor an din” (il cuore in dentro), “lou kor an fora” (il cuore in fuori) e vengono eseguite sul sagrato della chiesa. Al di là di San Vincenzo e dell’Ottava, in paese gli Spadonari ballano in occasione della festa della Madonna del Rosario, la prima domenica di ottobre. Oltre al caratteristico copricapo, questi personaggi sono abbigliati con un costume composto da una camicia bianca con sopra un corpetto, pantaloni blu e un grembiule ricamato. Al termine delle danze degli Spadonari, si riforma il corteo per il ritorno alla casa della priora festeggiata. (Sara Ghiotto)