Ma cosa è successo a Parigi? E’ vero che hanno ucciso tanta gente? Ma è pericoloso andare in città? Non è che può succedere anche a noi?
I fatti venerdì 13, avvenuti nel cuore dell’Europa, sono impressionanti. Per tutti, per i grandi e per i più piccoli. Ma cosa dire ai nostri figli? Come affrontare insieme a loro le emozioni, l’orrore e la paura che suscitano queste tragedie?
Risponde Daniele Pallone, presidente de Il Melo, un’associazione torinese di psicologi che opera con i minori e con le famiglie.
“Non è assolutamente facile aiutare i più piccoli di fronte a questi eventi traumatici ma dobbiamo provare, come adulti, a non lasciare i nostri figli soli di fronte alle immagini dell’orrore, degli attentati terroristici, delle decapitazione, di qualsiasi immagine perturbante. Dobbiamo cercare di mettere in parola i nostri sentimenti per far sì che lo facciano anche ai nostri figli proprio per contrastare il senso di impotenza, di smarrimento di vulnerabilità”.
“Spesso – spiega Pallone – l’identificazione porta i minori a immaginare che possa accadere anche a loro ciò che hanno visto in televisione e, visto che oggi questo rischio non è poi così immaginario, è importante che l’adulto possa rassicurarli, in modo realistico, senza negare le sue paure ma con la speranza del futuro”
Come possiamo comunicare speranza? “ E’ inevitabile dire ai nostri figli che non stiamo vivendo nel miglior mondo possibile ma dobbiamo dire loro che ci sono tante persone buone disponibili, generose e che possiamo sforzarci di costruire un mondo differente, migliore. Facciamoli partecipare a manifestazioni collettive, accendere con loro una candela di fronte alla finestra, partecipamo al tam tam che corre sui social o, ancora, portiamoli alla manifestazione del quartiere o del paese. Può servire a non farci sentire deboli e soli contro la violenza. Aiutiamo i nostri figli a esorcizzare la paura facendo loro disegnare o scrivere un biglietto per chi è morto e anche per chi ha ucciso. Insomma, parliamo con i nostri figli degli eventi, “empatizziamo” con i loro sentimenti di paura, ansia, rabbia che non sono emozioni di per sé negative ma che lo diventano e ci “allagano” e ci bloccano se non siamo in grado, come adulti parlarne e di comunicarle”.
Ancora : “Non rinunciamo – conclude Pallone – a trasferire ai nostri figli pensieri di tolleranza e integrazione, anche se attorno a noi (e nella famiglia stessa) è possibile che passino altri messaggi di intolleranza, di vendetta, di annientamento del nemico, ma tutto questo ci permette di parlare con i nostri figli di paure, di morte di cattiveria, insomma tutti temi che in qualche misura teniamo a bada perché ci creano spesso difficoltà nell’affrontarli”.
Bruno Andolfatto
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