Cultura

Gesù nasce a Betlemme sotto razzi e bombe: il racconto natalizio di Sergio Vigna

Il ricovero in cui Maria e Giuseppe si erano rifugiati, per non essere colpiti dai razzi, era sotto un palazzo crollato. Non erano soli, altri vi si erano nascosti, ma solamente lei stava per partorire.

Nessuno faceva caso al suo stato, ognuno pensava a sé stesso cercando di sopravvivere a quell’inferno.

La notte arrivò con l’urlo delle sirene che continuavano ad annunciare nuovi bombardamenti.

“Andiamo in ospedale, prima o poi cesseranno”, implorò Giuseppe cercando di convincerla.

“No, sono sicura che, se usciremo da qui nostro figlio nascerà da una morta. Aspettiamo, speriamo e preghiamo, sono certa che il Padre dei nostri Padri non ci abbandonerà”.

La fede di Maria era più forte di tutta l’atrocità che da giorni insanguinava donne e uomini, ma soprattutto bambini.

La loro casa era stata distrutta da un drone killer, così si erano dovuti adattare a quella specie di caverna venutasi a creare sotto una montagna di macerie. Almeno lì non avrebbero più bombardato.

Giuseppe, per dare alla moglie l’illusione di partorire senza sguardi indiscreti, tirò una tenda sgualcita trovata tra i detriti.

Era ancora notte quando iniziarono le doglie. Per non farsi sentire, Maria si fece dare una striscia di cuoio e la mise tra i denti, stringendola con forza per sopportare i dolori che stavano aumentando.

Giuseppe avrebbe voluto alleviarle il tormento, ma quando Maria gli intimò di andare via e lasciarla sola, il pover’uomo ubbidì di malavoglia.

Angosciato e depresso uscì da quel buco per scrutare ciò che stava

accadendo e quando si accorse che scie di ordigni scoppiavano in cielo violentando anche le stelle, si sedette sul sedile squarciato di una sedia e pianse.

Il vagito di un neonato si sentì un attimo prima dello scoppio di un ordigno caduto poco lontano.

Giuseppe si precipitò dentro incredulo: tra le braccia di Maria c’era un fagottino che si muoveva.

Pieno di riconoscenza s’inginocchiò e ringraziò il Padre dei suoi Padri.

“Potevi chiamarmi, ti avrei aiutata”, si lamentò.

“Non ne avevo bisogno, mi è bastata la fede” rispose serena Maria.

“Dobbiamo dargli un nome”, continuò lui.

“Lo chiameremo YOEshŸa” e Maria strinse al petto la sua creatura.

Sergio Vigna

Nella foto: la Natività secondo un dipinto del valsusino Elio Giuliano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Visualizza l'informativa privacy. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.