Attorno al XIII secolo il commercio divenne un potente mezzo per trasformare la società. Un ruolo centrale in questa svolta lo ricoprirono i francescani che, a differenza dei monaci, insediavano le loro comunità in mezzo alle città. «Nella Bibbia c’è, infatti, un’anima che ha favorito l’emergere di una economia di mercato. […]. Ben prima della scienza economica, è stata la religione ad inventare la logica commerciale» (p. 19). L’analisi storica constata che la penisola italiana occupa un posto speciale nel rinnovamento medievale: per questo è sbagliato ascrivere all’Europa settentrionale e al protestantesimo lo spirito capitalistico. Anzi, «a Nord, angosciato, si sperava nel paradiso, a Sud si comprava il purgatorio» (p. 20).
Da tale convinzione prende le mosse l’ultimo lavoro del noto economista Luigino Bruni, Capitalismo meridiano. Alle radici dello spirito mercantile tra religione e profitto, appena edito dal Mulino (pp 202, euro 19).
«La mia è quindi una ricerca sullo spirito meridiano dell’economia moderna» (p. 20), esplicita all’inizio l’autore, che tiene fede a questa dichiarazione attraverso il racconto di storie e aneddoti, che si trasformano in analisi documentate e rigorosamente fondate.
La caratteristica tipica dell’economia medievale fu l’ambivalenza: «Tutti sapevano che i banchieri lucravano sul denaro, vescovi e papi su tutti, che da una parte erano i primi clienti delle banche e dall’altra facevano omelie e scrivevano testi di condanna del prestito ad interesse sulla base della Bibbia e dei vangeli, che loro, in questo, erano i primi a non rispettare» (p. 26).
Eppure per combattere l’usura fu proprio la Chiesa – e in particolare i francescani – a istituire i Monti di Pietà, che nel Sud dell’Italia, a causa della vasta presenza del latifondo, si configurarono come Monti frumentari, ove come moneta era appunto usato il frumento. A proposito di ambivalenza: «I Monti nascevano per liberare la città dai prestiti usurai degli ebrei, e poi, quasi sempre, si chiedeva agli ebrei di prestare al nuovo Monte grosse somme di denaro perché potesse iniziare la sua attività bancaria» (p. 58).
Gradualmente anche la figura del mercante venne rivalutata: non si trattava più di un nemico pubblico ma del realizzatore di «una nuova forma di relazionalità civile ma anche come una nuova concretizzazione della legge dell’amore scambievole» (p. 85). Di conseguenza la proprietà privata è «protezione della pace, […] protezione dei deboli contro la prepotenza dei forti» (p. 89).
I mercanti trovarono addirittura un’icona biblica nei Magi – «ricchi mercanti che, senza diventare poveri, adoravano il Cristo con oro e doni, si prestavano perfettamente alla nuova etica economica dei ricchi della città» (p. 104) – e in santa Maria Maddalena, che unse di profumo prezioso i piedi di Gesù, «simbolo del buon uso della ricchezza, del pio sperpero, della filantropia per il culto, quindi per la Chiesa e per il bene comune» (p. 110). Comunità ecclesiastica e comunità civile, tutti felici e contenti.
Una fra le tante curiosità: la parola “bancarotta” «deriva dal banco su cui il cambiavalute metteva le sue monete, la mensa argentaria: quando non riusciva più a pagare i suoi debiti, i suoi creditori gli spezzavano il banco» (p. 25).
Fabrizio Casazza