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Il tessuto che “mangia” l’anidride carbonica è anche un po’ sanganese

Supponiamo, per assurdo (ma sarebbe fantastico), che l’uomo scopra un modo per azzerare le emissioni di anidride carbonica derivanti dalle proprie attività e che da domani mattina gli esseri umani non producano più CO2.

Ebbene, anche in questo caso il pianeta sarebbe ancora in pericolo, perché rimarrebbe tutta l’anidride carbonica che si è accumulata in questi ultimi due secoli e mezzo di tumultuoso sviluppo industriale e urbano.

Liberarsene non sarà semplice, ma diversi scienziati di tutto il mondo stanno provando a mettere a punto più sistemi per “catturare” la CO2, stoccarla e riutilizzarla in sicurezza per gli innumerevoli usi a cui si presterebbe.

Due di questi ricercatori sono i chimici del progetto di eccellenza CH4.0 dell’Università di Torino, Valentina Crocellà (professore associato) e Matteo Signorile (ricercatore) che da tempo lavorano a un tipo di tessuto che, dai primi promettenti dati, sembrerebbe in grado di “mangiare” la CO2 presente nell’aria che respiriamo, di immagazzinarla e di liberarla nuovamente grazie a un procedimento piuttosto semplice ed economico.

I ricercatori coinvolti in questo progetto che sta dando i suoi primi buoni frutti sono un team internazionale e i due chimici torinesi collaborano a stretto contatto con alcuni colleghi dell’Università di Cambridge.

Servizio su La Valsusa del 19 settembre.

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