Riproponiamo di seguito uno degli articoli de La Valsusa più letti nel 2023 che si sta chiudendo. Si tratta di una nostra intervista a Paolo Vitelli, “patron” di Azimut – Benetti, industria con sede ad Avigliana che produce yachts e imbarcazioni di lusso. Intervistammo il dottor Vitelli in occasione dell’imminente conferimento del titolo di “Torinese dell’anno” da parte della Camera di Commercio del capoluogo subalpino, avvenuta il 29 gennaio di quest’anno. Dopo circa un mese, Vitelli avrebbe passato il timone dell’azienda alla figlia Giovanna.
Come le è venuto in mente di fondare un’azienda che produce barche?
Un momento, è meglio precisare che non sono partito subito con l’intenzione di costruire imbarcazioni. Diciamo che, quando ero ragazzo, avevo diverse passioni, fra cui quella delle barche. Provengo, inoltre, da una famiglia di imprenditori e fin da giovanissimo mi sono appassionato a temi legati al commercio. Prima di fondare Azimut, ho fatto mille altre cose, come per esempio commerciare libri. Comunque, fare impresa è sempre stato nel mio dna. Per quanto riguarda le barche ho cominciato con il noleggiarle, poi ho proseguito facendole costruire da diverse aziende, in Italia, Francia e Inghilterra.
E come è arrivato ad Avigliana, un luogo molto distante dal mare?
Ad Avigliana non c’è il mare, ma c’è il Lago Grande e lì c’era una minuscola industria che produceva piccole imbarcazioni e che poi si è trasferita nel dinamitificio Nobel. All’inizio appaltavo la costruzione delle imbarcazioni a questa ditta, poi, quando si è presentata l’occasione giusta, l’ho rilevata e ingrandita. È così che è nata la Azimut che oggi molti conoscono. In seguito, ho rilevato anche la Benetti, storica fabbrica di imbarcazioni di lusso di Viareggio. Ora abbiamo complessivamente 2.100 dipendenti e fatturiamo 1,2 miliardi di euro.
Come vede il tessuto industriale aviglianese?
Lo vedo piuttosto dinamico e aperto alle innovazioni. Ritengo, inoltre, che l’amministrazione cerchi di agevolare chi fa impresa, magari non quanto vorremmo noi imprenditori, ma, insomma, c’è una buona collaborazione.
Non è il suo campo, ma da imprenditore affermato, secondo lei, l’automotive ha ancora un futuro a Torino e nella sua provincia?
È difficile da dirsi. La vecchia Fiat, che adesso si chiama Stellantis, ora è a trazione francese e temo che trascurerà l’Italia a favore della Francia e di altri luoghi del mondo dove la manodopera costa meno. Può sembrare una cattiva notizia, ma non lo è.
Perché?
Perché Torino e la sua provincia hanno un “know how”, un saper fare che è difficile da trovare altrove. Qui c’è il perfezionismo tipico piemontese, il piacere di portare a termine un lavoro ben fatto. Forse in futuro non si produrranno più tante automobili a Torino, ma rimarrà una filiera collaterale che spazierà dalla produzione di sedili, carrozzerie, fanali… insomma di parti essenziali al funzionamento delle auto.
Auto rigorosamente elettriche?
Be’, sì, ma attenzione: l’elettrico è uno step nella direzione giusta, quella che tiene conto della necessità di diminuire i consumi di energia proveniente da fonti fossili. Il passo successivo sarà costruire motori a idrogeno, tanto nelle fabbriche di auto quanto nei cantieri navali. Noi ci stiamo già lavorando con il Politecnico di Torino. Il futuro prossimo è l’elettrico, il futuro più lontano, ma non troppo, è l’idrogeno.
A proposito di costi energetici, anche voi avrete preso una bella “mazzata”, o no?
Certamente. Come tutte le industrie abbiamo accusato il colpo, ma siamo fortunati: abbiamo un management che si è subito messo in moto per cercare e trovare dei contratti con compagnie che finora ci hanno garantito un certo contenimento dei costi.
È anche per questo che siete riusciti a dare due bonus, quasi due stipendi in più, ai vostri dipendenti nel corso del 2022?
Avremmo voluto farlo prima, ma abbiamo avuto qualche difficoltà non legata ai costi dell’energia. Non appena queste difficoltà si sono appianate, abbiamo deciso di venire incontro alle nostre maestranze che con l’inflazione galoppante si sono viste ridurre drasticamente il loro potere d’acquisto.
Lo farete ancora in futuro?
Sì. Io credo che l’imprenditore debba certamente inseguire il profitto, altrimenti non avrebbe risorse per crescere egli stesso né per fare crescere le sue maestranze. Ma sono pure convinto che gli imprenditori abbiano una responsabilità sociale nei confronti dei territori e delle popolazioni che ospitano le loro aziende, tanto che Azimut sta concludendo proprio in questi giorni un accordo con alcune realtà scolastiche locali per mettere in piedi dei corsi professionali: falegnameria, meccanica, carrozzeria e altro. Lo annuncerò domenica, a Torino. È un modo per formare i ragazzi e prepararli, se lo vorranno, a venire a lavorare da noi. Stiamo inoltre pensando anche di istituire delle borse di studio per gli studenti più meritevoli.
Fra i vostri clienti avrete avuto sicuramente qualche oligarca russo. Come ha influito la guerra in Ucraina sui vostri affari?
Certamente non possiamo più vendere i nostri prodotti in Russia, ma questa fetta di mercato è stata quasi completamente soppiantata dai ricchi statunitensi, dunque non abbiamo subito grandi contraccolpi.
Si vocifera che persino il dittatore nordcoreano possieda uno yacht Azimut. È vero o è soltanto una leggenda?
Che io sappia no. Però ci fu un tentativo, una quindicina di anni fa, da parte dell’establishment nordcoreano di acquistare uno dei nostri yacht. Lo scoprimmo noi in azienda e avvertimmo subito le autorità italiane. Il loro progetto, quindi, naufragò.
Quanto costa la più “economica” delle vostre barche?
Quattrocentomila euro.
E la più costosa?
Circa 150 milioni di euro. Naturalmente si tratta di produzioni fatte ad hoc per il cliente. Abbiamo una produzione di serie e “semiserie”, ma in quel caso ci fermiamo ai 40 milioni di euro. Al di sopra è fatto tutto esclusivamente su misura.
Quindi il mercato del lusso “tira” abbastanza, o no?
Sì, va molto bene, anche se talvolta per motivi non troppo edificanti. Purtroppo le differenze in ambito economico fra la popolazione mondiale si stanno sempre più approfondendo: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri. E i ricchi acquistano molti beni di lusso. Molte aziende lo hanno capito e si adeguano. Prenda la VolksWagen: noterà che ha diminuito la produzione, ma ha aumentato il fatturato. Come si spiega? Perché ha investito molto di più su vetture top di gamma piuttosto che su macchine economiche. Ecco che torniamo al discorso precedente: ovvero la necessità, da parte degli imprenditori, di reinvestire parte di quei profitti sul territorio, a vantaggio delle maestranze e delle loro famiglie, per cercare di ridurre quelle differenze.
Lei personalmente quante barche ha?
Può sembrare strano, ma ne ho soltanto una di 9 metri che uso per fare dei piccoli giri e che spero di utilizzare un po’ di più, adesso che andrò in pensione.
Ma non si annoierà?
Non credo proprio. Ho ancora tanti progetti in testa, non ultimo quello di cui le parlavo poco fa: preparare i giovani del nostro territorio al lavoro, insegnando loro un mestiere.
Alberto Tessa