Chiesa oggi

Oltre mille giovani in ascolto del Vescovo

La fatica di scegliere, la sete di vita che si affaccia al cuore, i desideri dell’animo spesso frammentati. Sono alcune dimensioni della condizione giovanile che l’Arcivescovo Repole ha voluto toccare nel primo appuntamento del percorso di catechesi proposto ai giovani delle diocesi di Torino e Susa venerdì 17 novembre in cattedrale. Giovani che accompagnati dai loro parroci hanno accolto l’invito formulato nella lettera che un mese fa l’Arcivescovo aveva rivolto loro. Oltre mille hanno risposto all’invito ad arrivare in duomo anche solo mossi da curiosità per cercare attraverso le parole del Vescovo di conoscere meglio la figura di Gesù e di trovare un nuovo orizzonte di senso per la loro vita.
Tutto il percorso dell’anno sarà sviluppato a partire dagli incontri che Gesù ha fatto. il primo proposto, quello del “giovane ricco”.

“Vorremmo che le nostre giornate fossero non solo piene di cose da fare, ma che noi stessi, vivendo, ci sentissimo pieni, vivi in pienezza, e non vuoti e prosciugati. Vorremmo poter percepire che le cose che facciamo tutti i giorni, a volte con grande fatica, come lo studio, le interrogazioni e gli esami che sosteniamo, piuttosto che il lavoro che svolgiamo… avessero un valore, servissero a costruire il nostro futuro, a darci delle possibilità di vita diversa quando saremo adulti, a prepararci ad una professione utile a qualcuno e riconosciuta come importante almeno da qualcuno. Vorremmo poter guardare al futuro non con ansia e angoscia, ma con gioia e speranza, con la fiducia che ci sta aspettando qualcosa di bello e avvincente e non una esistenza triste e depressa”.

Un primo messaggio di speranza, un invito a leggere dentro di se le fatiche ma non limitandosi ad una lettura problematica, a non lasciarsi schiacciare dalle tante minacce, l’assolutizzazione del guadagno, il senso di solitudine, per scoprire nella fraternità una risposta al desiderio di vita.

“Si può avere giustamente la sensazione, da giovani, di essere immersi in un contesto nel quale ci viene dato alla fine un messaggio estremamente contraddittorio. Da una parte siamo invitati ad andare a scuola, a studiare, ad impegnarci, a scegliere il percorso universitario, oppure ad imparare un lavoro, a diventare bravi in qualche sport… Dall’altra parte, però, ci viene continuamente mandato il messaggio che non c’è niente che conta davvero, che vale, che costituisca qualcosa a cui possiamo aggrapparci per vivere – come una nave che è stabile perché c’è l’ancora – o che rappresenti un ideale per cui valga davvero la pena di investire fino in fondo, avendo addirittura il coraggio di lasciare tutto pur di perseguire quell’ideale.
E quest’aria, se ci facciamo attenzione, la respiriamo in molti modi, concretamente. Pochissimi ad esempio, anche tra gli adulti, hanno il coraggio di proporci di investire la nostra vita per qualcosa che vada al di là del nostro interesse, di quel che ci piace immediatamente, di quel che è comodo o ci dà una soddisfazione immediata: come un mondo più giusto, come la solidarietà con chi è nella difficoltà, come la pace, come la fedeltà nelle relazioni… Certo, di tutto questo e di altro ancora si può anche parlare, ma come cose tra mille altre, come realtà che sono intercambiabili con molte altre realtà. E l’effetto che ciò può avere su di noi è di non poter desiderare davvero niente come bello, buono e attraente: perché niente alla fine vale!”
Ed ecco dunque la risposta “Se ci facciamo attenzione, Gesù propone al giovane di osservare i comandamenti. Ma non si tratta di tutti i 10 comandamenti che Dio aveva dato a Mosè. Sono solo quelli che riguardano il dovere che un uomo ha verso il suo prossimo. Dunque, è come se dicesse: se davvero vuoi vivere, e se davvero vuoi trovare un senso per la tua vita, allora guarda l’altro, renditi conto dell’altro, di chi ti sta vicino, di chi ti capita di incontrare ogni giorno. Vagli incontro, come qualcuno che è davvero altro da te e prenditi cura di lui, della sua vita. Perché? Perché è solo se hai il coraggio di non essere concentrato su te stesso, rinchiuso nei tuoi pensieri, nelle tue paure, nei tuoi fantasmi, nei tuoi bisogni… è solo se esci dal guscio di te stesso e incontri qualcun altro che cominci davvero a respirare e a vivere.
E perché è solo se ti rendi conto che l’altro è davvero un mondo diverso da te, ed è unico, che anche tu puoi cominciare a sentirti unico, irripetibile, con i tuoi sentimenti, i tuoi pensieri, il tuo modo personale di percepire le cose, e non invece omologato e identico a tutti gli altri, come la nostra società vorrebbe tanto”.

“Con Lui”, ha concluso, “cessiamo di sentirci un pezzo di un grande ingranaggio o peggio ancora un problema, e ci sentiamo apprezzati per quello che pensiamo e possiamo offrire. E, soprattutto, perché con Lui ci sentiamo tanto desiderati e amati”.

Parole che hanno toccato il cuore di tanti, “mi ha colpito pensare a qualcosa di grande per cui vale la pena di vivere”, parole che sono “un segno bello per noi perchè è bello che ci sia qualcuno che ci parla di felicità”, parole diventate preghiere che sono state scambiate e affidate. Parole di vita che hanno accresciuto anche il clima di festa nel momento conviviale che ha concluso la serata nel cortile della Facoltà toelogica.

Federica Bello

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