Riassunto
Prima tappa, venerdì 8 novembre per il nuovo ciclo di catechesi per i giovani di Torino e Susa, guidata dal Vescovo Repole. Al centro il lo stupore dell’essere creature abitate da Dio
Sete di Dio, silenzio e stupore hanno unito gli oltre mille giovani che venerdì 8 novembre hanno gremito il Santo Volto per la prima catechesi del nuovo ciclo di “Vedere la Parola” tenuta dall’Arcivescovo Repole. Alla sete di “Stare su domande su chi sono e dove vado per trovare la speranza” che ha richiamato suor Carmela Busia, coordinatrice della Pastorale Giovanile, aprendo l’incontro, le parole dell’Arcivescovo hanno offerto una prospettiva tratta dalla creazione raccontata dal libro della Genesi.
La prospettiva di uno sguardo sul mondo che dalla narrazione biblica apre l’orizzonte alla dimensione di uno stupore da rivolgere non solo verso la creazione, ma anche verso se stessi e gli altri.
“Non importa”, ha sottolineato l’Arcivescovo, “come siano andate le cose all’inizio, ma all’origine di tutto c’è Dio che liberamente e per amore ha dato esistenza a tutto quello che c’è, che vedi, che esiste. Tutto quello che c’è non è frutto del caso, ma di un atto profondissimo di amore di Dio. La domanda ultima sulla realtà in cui viviamo non è come è sorta, ma perché, perché esiste qualcosa invece del nulla”.
“Tutto è bello, sorprendente, magnifico ma nulla è Dio, ma lo è perché proviene da Dio. Dio non è qualcosa, ma Qualcuno, un essere personale ancora più di me e di te con cui puoi entrare in relazione”.
E questo sguardo – è stato ricordato – non è “quello di chi vuole conoscere per dominare e utilizzare la realtà”, quello che quando rivolgiamo verso di noi o gli altri genera paura, ansia, frustrazione “come se non ci sentissimo a casa da nessuna parte”, come “se non riuscissimo a guardare al futuro con gioia, ma con paura, perché ci immaginiamo che il mondo domani sia meno abitabile di oggi”.
Ed ecco l’invito dunque a uno sguardo che invece fa bene che è quello di meraviglia, di incanto e che, su se stessi, aiuta a sgombrare una altra paura che i giovani si trovano spesso ad affrontare: quella di “esserci senza un perché, senza essere stati voluti, il sentirsi un peso”. “Facciamo scendere in profondità”, ha esortato Repole, “la certezza che ci proviene dall’essere creati da Dio che è capace di vincere queste paure. Dio ha voluto che ci fossi proprio io, ha pensato da sempre a me, così come sono, e Dio gioisce nel vedermi perchè non è mai esistito e mai esisterà qualcun altro come me”.
Un’unicità che non nasconde, fragilità o limiti ma li trasforma in “trampolini per tuffarci nel mare della vita”.
Un’unicità radicata nel messaggio finale che “mai niente e nessuno potrà distogliere da noi la scintilla dell’amore di Dio perché Dio continuamente continua a crearmi perché mette dentro di me il suo alito di vita”. Presenza come quella di un seme nella terra, da custodire e da non dimenticare, come quello simbolicamente consegnato a conclusione dell’incontro: seme di una vita abitata da Dio.