Susa

Una lettrice ci scrive per elogiare l’Ospedale di Susa

A volte nella vita ti trovi in frangenti da cui, anche se non lo avresti mai pensato possibile, esci migliore. Lunedì 27 giugno, in serata, dopo alcuni giorni di malessere, mio figlio mi accompagna al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Susa e mi saluta dicendo: “Vengo a riprenderti più tardi”.

Peccato che la situazione in cui mi sono trovata ha richiesto il pernottamento e, con mia  grande sorpresa, il ricovero.

Con professionalità e premurosa gentilezza, il personale medico e paramedico andava e veniva da me agli altri pazienti, molto numerosi, con siringhe per prelievi, misuratori di pressione, pulsimetri, termometri,  medicine e quant’altro necessitava a ognuno di noi che, chi sulla sedia a rotelle, chi già su una barella attendeva una cura, un sollievo, un responso o anche solo un sorso d’acqua e una parola.

Sta di fatto che nel primo pomeriggio di martedì 28 mi accompagnano al primo piano, in Medicina, e mi trovo in una ampia e luminosa camera, dove tre signore più anziane di me stavano riposando.

Camera 5, letto 11. Ripongo “il mio bagaglio” nell’armadietto che mi è stato assegnato e finalmente riesco ad allungare le ossa per riposare un po’. Mi guardo intorno, osservo le signore, mie compagne di avventura,  che difficilmente potranno scendere dal loro letto e mi sento fortunata.

Loro vivono in un mondo proprio: chiamano e parlano con mamma, papà, nonni, offrono loro quello che hanno nel cuore, li vorrebbero ancora accanto, vorrebbero le loro carezze per alleviare la sofferenza; è troppo pesante viverla da sole, anche se la vicinanza di mariti, figli nipoti è costante, ogni giorno nell’orario di visita.

A volte sorrido insieme al personale per “le cose strane che tirano fuori”, ma più spesso le lacrime mi pungono gli occhi, come quando una di loro mi ha invitata in tarda serata a condividere la pizza che le avevano portato. “Non posso mica mangiarla da sola”. Al mio gentile rifiuto, con le braccia alzate, ha chiamato il suo papà per condividere con lui la pizza (che naturalmente non aveva). Oppure quando l’altra signora ha fatto i capricci per infilare la camicia da notte: no, lei voleva mettere la camicetta a fiori che le aveva portato la sua mamma.

Chiedo scusa a Bonaria, Pina e Rita per non aver potuto dare loro l’aiuto che mi hanno chiesto, perché in questo periodo di Covid  è vietato avvicinarsi ai letti dei compagni di camera, si deve suonare e noi abbiamo suonato molto, moltissimo il campanello, vero? E subito arrivava qualcuno ad aiutare! Grazie mille a tutto lo splendido personale dell’ospedale!

Ringrazio Bonaria, Pina e Rita per questa “gioiosa” settimana insieme, per avermi ricordato che mamma,  papà e i nonni resteranno per sempre accanto noi, la dolcezza dei loro nomi sulla nostra bocca, anche quando avremo superato gli 80 anni.

Ricordiamoci di abbracciarli spesso, quando li abbiamo ancora accanto.

Ringrazio tutto il personale medico, paramedico, infermieristico e tutti gli operatori per la loro competenza e disponibilità.

Saluto e ringrazio  il direttore del reparto, dottor La Brocca, per l’efficienza dell’Ospedale tutto e per la cordiale disponibilità al colloquio.

                                                                                                                                                                                                                                                                           Armida Germena (Ilva)

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